Ischia News ed Eventi - Quella certa nostalgia del presente. Macchiaioli, veristi e decadentisti in mostra a Montepulciano

Quella certa nostalgia del presente. Macchiaioli, veristi e decadentisti in mostra a Montepulciano

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La meglio gioventù della pittura italiana del secondo Ottocento è in mostra a Montepulciano, nel ricchissimo Museo Civico-Pinacoteca Crociani e nella Fortezza, entrambi a due passi dalla Piazza Grande e dai tesori che questa isola di cultura fiorentina in terra senese custodisce, da Michelozzo e Antonio da Sangallo, al Signorelli, al Caravaggio. L’occasione è formidabile per chi voglia immergersi nella quintessenza della toscanità fatta pittura: una pittura di macchia, di materia fatta colore e luci abbaglianti perché meridiane, oppure taglienti perché basse di mattini pieni di promesse, o languide nel declinare del giorno; ed insinuate in chiostri, cortili, portici e viuzze, a contendere il visibile alla minaccia dell’ombra.

La meglio gioventù della pittura italiana del secondo Ottocento è in mostra a Montepulciano, nel ricchissimo Museo Civico-Pinacoteca Crociani e nella Fortezza, entrambi a due passi dalla Piazza Grande e dai tesori che questa isola di cultura fiorentina in terra senese custodisce, da Michelozzo e Antonio da Sangallo, al Signorelli, al Caravaggio. L’occasione è formidabile per chi voglia immergersi nella quintessenza della toscanità fatta pittura: una pittura di macchia, di materia fatta colore e luci abbaglianti perché meridiane, oppure taglienti perché basse di mattini pieni di promesse, o languide nel declinare del giorno; ed insinuate in chiostri, cortili, portici e viuzze, a contendere il visibile alla minaccia dell’ombra.

Sono tutti dipinti e disegni appartenenti a collezionisti privati, membri del Rotary Club di Chianciano Terme-Chiusi-Montepulciano, che li hanno gratuitamente prestati all’amministrazione comunale per questo evento: molte opere non erano mai state esposte al pubblico.

Fattori, Signorini, Borrani, Sernesi – dunque i toscani storici del gruppo sorto attorno al critico Diego Martelli; ma anche i loro coltissimi interlocutori non toscani – Abbati, De Tivoli, Costa, Lega, Cabianca, il gigantesco De Nittis che avrebbe poi incantato Parigi: ché il sogno dell’unità d’Italia, cui molti di essi concorsero lottando e talora combattendo tra i Mille o nei battaglioni volontari, divenne realtà nella comune tensione a superare regionalità e provincialismi, ad affacciarsi sull’Europa, a rapportarsi alle nuove poetiche sociali, a coltivare il futuro con gli occhi aperti allo stesso modo di Federigo Tozzi, abbandonando la religione del passato e le sue catene, cogliendo la nostalgia di un presente antico e divorato tuttavia dal progresso.

Se fu al Caffé “Michelangelo” di Firenze che tanto di questa pittura maturò sul piano teorico, il suo farsi traduzione immediata di percezioni fisiche, sinestesia avvolgente e quasi disturbante, testimone di una storia minore e di uno sfuggire della memoria nella corsa del tempo verso il nuovo avvenne fra la tenuta dei Martelli a Castiglioncello, le dune di sabbie quarzose e minerali e le campagne litoranee arroventate nelle estati e flagellate dal libeccio negli autunni tirrenici, i greti di fiumiciattoli e le periferie, borghi arcaici come il Gabbro e gli abitati del Mugello o del Casentino, le perdute campagne di Piagentina e i colli d’Oltrarno, le viuzze di Firenze e la Maremma, le rive dell’Arno e certi interni di case borghesi. Ovunque domina la linea poetica essenziale della macchia, quella che enuclea e definisce una “nostalgia del presente”, perché mentre il progresso muta il mondo, ciò che non muta col progresso è destinato a scomparire, a diventare marginale, territorio di anziani e di esclusi: così le campagne riarse, gli orti grassi e ordinati sotto muri assolati, le pattuglie di militari in ronda sotto il sole a picco, gli intonaci colorati e le gelosie socchiuse alle finestre, i monelli che pescano rane nei ruscelli, le vacche al pascolo sono una serie di addii; mentre la stessa storia è cristallizzata nei ritratti dei grandi del Risorgimento o nell’epopea di una fondazione identitaria dell’italianità – come evocano scorci di musei appena allestiti e cripte di chiese in corso di restauro – e da vita si fa monumento. In primo piano, semmai, emergono i frutti del nuovo: l’estetica del lavoro manuale divenuto ormai testimone della mercificazione dell’uomo e della sua alienazione, ma nei toni più commossi di un Millet che in quelli aspri di un Courbet comunque noto ai grandi Macchiaioli; le nuove solitudini; il richiudersi in se stessi, ben documentato dagli eredi della corrente toscana.

Nel percorso della mostra sono altri nuclei importanti: le opere in bilico fra naturalismo ancora barbizonnier e tematiche protorealiste (come quelle di Gelati) evidenziano la superiore qualità dei capolavori macchiaioli; quelle della seconda generazione sottolineano l’importanza della dialettica e delle esperienze intrecciate con l’ambiente francese da alcuni pittori italiani, tanto è forte l’influenza impressionista in alcuni dipinti, ma anche lo sviluppo autonomo di una poetica verista presto frantumatasi in correnti distinte – una stucchevolmente bozzettistica, una lirica ed una sociale; altre ancora, come quelle di Balestrieri e Nomellini, aprono uno sguardo verso e oltre le avanguardie.

L’efficace allestimento curato da Fabio Fiorini valorizza le opere sfruttando al massimo il non facile spazio espositivo della Fortezza e di Palazzo Neri-Orselli, con una soluzione “sonora” molto piacevole nella sezione dedicata alla pittura di paesaggio. Una perplessità lascia soltanto la scelta del criterio espositivo seguito da Silvestra Bietoletti e Roberto Longi, autori del peraltro eccellente ed economico catalogo (Silvana Editoriale, € 22): con un così consistente novero di opere, e con un orizzonte temporale piuttosto ampio (1850-1925 circa), sarebbe stato preferibile un percorso rigorosamente cronologico che ponesse in luce antefatti, dialettiche, divergenze ed evoluzione dei linguaggi italiani della realtà documentati in mostra, anziché il consueto e non sempre facilitante ma, anzi, un po’ ripetitivo succedersi di nuclei tematici ordinati per genere.