Ischia News ed Eventi - Ascom News 69 - Se un cliente si fa male il titolare dell’attività è responsabile

Ascom News 69 - Se un cliente si fa male il titolare dell’attività è responsabile

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Infortunio in un negozio o un’officina: il titolare dell’attività commerciale è responsabile anche se la colpa è del proprio dipendente.

In linea generale, il titolare di un negozio o di qualsiasi altro esercizio commerciale è responsabile per i danni che un cliente subisce all’interno di tale luogo, anche se a procurarli è un proprio dipendente distratto e inesperto. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1].

Chiunque si vale dell’opera di terzi – siano essi dipendenti, che collaboratori esterni – risponde degli illeciti da questi prodotti e dei danni che ne siano conseguiti a terzi. Un principio consacrato dal codice civile [2] e che finisce per attribuire al datore di lavoro una «responsabilità oggettiva» per tutte le condotte poste dai propri dipendenti, sia che questi siano stati regolarmente assunti, sia che collaborino da esterni, sia ancora nell’ipotesi in cui si tratti mansioni svolte “in nero”.

Il concetto di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro amplia notevolmente l’elenco dei casi in cui questi è tenuto al risarcimento nei confronti dei clienti per danni cagionati dai propri dipendenti. Basta, infatti, che il lavoratore abbia determinato l’infortunio in occasione delle proprie mansioni, senza che il danneggiato debba dimostrare l’assolvimento di incarichi specificamente delegati dal datore. Come dire che l’imprenditore è sempre responsabile in via generale, anche se non è in malafede o non ha alcuna colpa, per tutte le azioni dei propri dipendenti, a meno che questi ultimi non stessero svolgendo attività differenti da quelle tipiche del proprio lavoro, per le quali solo essi potrebbero risponderne.

Già in passato la Cassazione ha detto [3] che la responsabilità del datore di lavoro non discende dall’esecuzione delle specifiche mansioni da parte del dipendente; è piuttosto sufficiente che la condizione lavorativa sia occasione per la realizzazione o anche solo per l’agevolazione della condotta dannosa, e che questa non consista quindi in un’attività del tutto estranea al rapporto di lavoro».

La vicenda decisa dai giudici servirà a fare comprendere meglio il predetto principio. Immaginiamo che un ragazzino si rechi presso un’officina per il controllo della pressione degli pneumatici. Intravedendo un dipendente, gli chiede – senza prima passare dal titolare del “garage” – di gonfiargli un pallone di calcio. Trattandosi di un’attività semplice e di pochi secondi, l’addetto alle ruote prende l’oggetto dalle mani del bambino e lo attacca, come di norma in questi casi, al compressore. Senonché, per eccessiva inesperienza, spinge troppa aria dentro il pallone che, inevitabilmente scoppia in mille pezzi. Uno di questi pezzi colpisce all’occhio il piccolo, rendendolo cieco di un occhio. I suoi genitori chiedono così il risarcimento al titolare dell’officina, ma questi non ne vuole sapere: a sua discolpa richiama il fatto che il proprio dipendente avrebbe agito senza alcuna delega dei superiori e senza prima chiedere l’autorizzazione ad espletare una mansione diversa da quelle per le quali era stato delegato ed alle quali stava lavorando. Insomma, il dipendente avrebbe agito solo per fare un piacere al ragazzino, quindi nell’ambito di un rapporto personale tra i due, esterno all’azienda.

La Cassazione, nel caso di specie, ha dato ragione ai genitori del danneggiato richiamando il fatto che le mansioni affidate al lavoratore – l’essere addetto al controllo della pressione delle auto e al gonfiaggio delle ruote – avrebbe agevolato il suo comportamento dannoso e, quindi, proprio ciò avrebbe causato il danno.

note
[1] Cass. sent. n. 6033/17 del 9.03.2017.
[2] Art. 2049 cod. civ.
[3] Cass. sent. del 24.01.2007, Cass. sent. n. 18691/2005.