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Ascom News 81: Il dipendente che finge di lavorare si può denunciare per truffa

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Legittimo il licenziamento del dipendente fannullone per scarso rendimento. Se poi ci sono fraudolenze scatta anche il reato di truffa.

Si può licenziare un dipendente fannullone? Sicuramente sì. Anche senza una specifica colpa, il dipendente che si macchia di scarso rendimento rischia il posto. Ma si può denunciare per truffa il dipendente che fa finta di lavorare? Non sempre: sono necessari degli specifici comportamenti volti a raggirare il datore di lavoro e fargli credere che, in realtà, la prestazione lavorativa viene regolarmente svolta. È questo l’indirizzo che ha iniziato a seguire la Cassazione con le ultime pronunce in materia di «dipendenti scansafatiche». Procediamo quindi con ordine e vediamo a quali conclusioni sono arrivati, negli ultimi anni, i giudici su questo spinoso argomento.

Prima di chiarire se si può denunciare per truffa il dipendente che fa finta di lavorare, dobbiamo operare un’importante distinzione: una cosa è parlare del dipendente che, per lavorare il meno possibile e affaticarsi quel tanto che basta per portare a casa lo stipendio, rallenta volontariamente le proprie operazioni tanto da non essere sufficientemente produttivo; un’altra è invece quella del dipendente che versa in una situazione di totale inattività per propria volontà (ossia pur in presenza di compiti da svolgere). Per semplicità, nel primo caso parleremo del dipendente fannullone o pigro (quello cioè lento) e nel secondo caso del dipendente totalmente inattivo.

Come licenziare un dipendente fannullone?

Si può licenziare il dipendente pigro e fannullone che svolge in una intera giornata quel che, invece, potrebbe svolgere in metà del tempo? La giurisprudenza, un tempo particolarmente mite con i lavoratori, ha finalmente cambiato indirizzo, mostrandosi più severa. Così, di recente, la tesi del licenziamento per scarso rendimento ha trovato sempre più applicazione nelle aule dei tribunali, benché si tratti di un’ipotesi non espressamente prevista dalla legge. Inizialmente la Corte era orientata nel ritenere che la contestazione dell’azienda non potesse avere ad oggetto lo scarso rendimento in sé ma i singoli comportamenti del dipendente che lo comportano. Invece, più di recente, la Cassazione ha ritenuto sì possibile il licenziamento per scarso rendimento ma solo a condizione che il datore di lavoro sia in grado di dimostrare qual è il livello medio di produttività degli impiegati dello stesso settore; ebbene il licenziamento può avvenire solo in caso di grave sproporzione con gli obiettivi fissati dall’azienda e indipendentemente dal raggiungimento di una soglia minima di produzione. Inoltre lo scarso rendimento deve essere valutato anche alla luce della complessità della prestazione lavorativa.

Prima però di poter procedere al licenziamento, l’azienda deve invitare il dipendente a migliorare il proprio rendimento inviandogli una lettera di contestazione. Sul punto leggi la guida Licenziamento per scarso rendimento.

Come licenziare un dipendente che fa finta di lavorare

Veniamo ora al secondo caso, quello del dipendente inattivo, ossia che fa finta di lavorare. In questa ipotesi il licenziamento è molto più semplice. Basta infatti la dimostrazione di una condotta grave del lavoratore volta a “prendere in giro” il datore di lavoro, spezzando così quella fiducia che tra i due vi deve essere. Per portare al licenziamento la condotta del dipendente che fa finta di lavorare deve essere però particolarmente grave. Non vale il caso di chi si ferma un minuto in più alla macchinetta del caffè o chi, qualche volta, risponde al telefono. Ma alcune sentenze hanno ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente che naviga su internet o sul cellulare durante l’orario di lavoro, o il licenziamento di chi si porta un libro da casa e legge invece di lavorare.

Chi finge di lavorare può quindi essere licenziato se non si tratta solo di qualche minuto e lo fa in via continuata e sistematica. Ma quando si può denunciare per truffa il dipendente che fa finta di lavorare? In questo caso è necessario qualcosa in più: il lavoratore deve escogitare degli stratagemmi (il codice penale parla di «artifici e raggiri») per eludere il controllo del datore di lavoro e ingannarlo. È il caso del badge timbrato da un collega mentre il dipendente è altrove o di chi lo timbra, in modo da far credere di essere al lavoro, e poi esce. Ma è anche il caso del dipendente che, durante l’orario di lavoro, svolge in realtà attività per altre aziende o in favore di un’attività di lavoro parallela da se stesso gestita (ad esempio promuove la vendita di articoli da lui realizzati o cura un sito di e-commerce, ecc.). A riguardo, secondo la Cassazione [2], integra il reato di truffa la condotta del dipendente che, nell’orario normale, lucra la retribuzione fingendo di lavorare mentre svolge altra attività.

È anche il caso del lavoratore che, mandato in missione dall’azienda per svolgere determinate attività, utilizzi l’auto di servizio per svolgere altre attività personali, presentando poi le ricevute del benzinaio per la restituzione dei costi del carburante. Ne consegue che, se l’azienda ha il dubbio che un dipendente incaricato di mansioni da espletare al di fuori dei locali dell’azienda in realtà sta svolgendo un comportamento illecito di tale genere, è possibile incaricare degli investigatori privati per verifiche al riguardo.

[1] Cass. sent. n.17637/2016: «n tema di licenziamento disciplinare, ricorre l’ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente, prevista dall’art. 55 quater del d.lgs. n. 165 del 2001, in caso di timbratura del cartellino marcatempo non corrispondente alla reale situazione di fatto, giacché la falsa attestazione del pubblico dipendente riportata sui cartellini marcatempo o sui fogli di presenza costituisce condotta fraudolenta oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro circa la presenza effettiva sul luogo di lavoro, ed integra il reato di truffa aggravata ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare i periodi di assenza, sempre che siano economicamente apprezzabili».

[2] Cass. sent. n. 14383/2000: «La prestazione d’opera da parte del lavoratore subordinato a favore di terzi concorrenti costituisce violazione dell’obbligo di fedeltà, che se è irrilevante sotto il profilo penale se compiuta fuori del normale orario di lavoro, mentre integra gli estremi del delitto di truffa se è esercitata, da parte di un soggetto che lucra la retribuzione fingendo di svolgere il lavoro che gli è stato affidato, durante l’orario in cui dovrebbe svolgersi la prestazione concordata. Ne consegue che, ove sorga il giustificato dubbio che un dipendente incaricato di mansioni da espletare al di fuori dei locali dell’azienda in realtà si renda responsabile di un comportamento illecito di tale genere, è giustificato il ricorso alla collaborazione di investigatori privati per verifiche al riguardo, nè sono ravvisabili profili di illiceità a norma dell’art. 2 comma 2 l. n. 300 del 1970, il quale, prevedendo il divieto per il datore di lavoro di adibire le guardie particolari giurate alla vigilanza dell’attività lavorativa e il divieto per queste ultime di accedere nei locali dove tale attività è in corso, nulla dispone riguardo alla verifica dell’attività lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali da parte di soggetti non inseriti nel normale ciclo produttivo. (Nella specie un istituto di credito aveva sottoposto a verifica l’operato di un suo funzionario incaricato di attività promozionale esterna, a causa dei sospetti suscitati dagli scarsissimi risultati conseguiti e l’aveva poi licenziato, essendo emerso che non intratteneva affatto i contatti personali indicati nei rapportini di servizio, pur non compiendo neanche attività a favore di terzi; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, con cui era stata rigettata l’impugnativa del licenziamento)».